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IL MONACO E IL GATTO PANGUR

Che i gatti del Medioevo fossero perseguitati dalla Chiesa Cattolica è ormai risaputo, ma è doveroso puntualizzare che non tutti i preti li consideravano alla pari di Satana. Esistono infatti molti casi di monaci che difesero i «nemici della chiesa», proteggendoli e tenendoli sempre con sé. Abbiamo diverse testimonianze, ma forse la più romantica è la poesia dedicata al gatto Pangur, scritta tra l’VIII e il IX secolo da un monaco irlandese a lato di un manoscritto, probabilmente in modo istintivo, come se fosse stato ispirato proprio in quell’istante.
É una poesia non solo dedicata a un gatto, ma a una profonda e sentita corrispondenza tra le azioni del felino e quelle del monaco, entrambe rivolte a Dio, senza differenza alcuna. Insieme svolgono un lavoro verso l’armonia del creato: il gatto cattura i topi, mentre l’uomo lo fa con le parole, divenendo così l’uno il riflesso dell’altro. Interessante il fatto che ci sia giunto solo il nome del gatto, il monaco non riportò mai il suo, come se in qualche modo si fosse messo in secondo piano.